La Libertas contro l’apartheid di genere nello sport

“Libertas Sprint” pubblicava il 15 gennaio 2016 un articolo contro le discriminazioni nello sport: numerose federazioni sportive escludono le donne dall’area del professionismo ignorando la risoluzione 5 giugno 2003 del Parlamento Europeo. Finalmente dai palazzi della politica giungono orientamenti verso le pari opportunità “anche” nello sport.

L’articolo di “Libertas Sprint” – house organ del Centro Nazionale Sportivo Libertas – nasceva sull’onda emotiva delle inquietanti intimidazioni pervenute ai dirigenti di una compagine femminile calabrese di calcio a 5 che milita nella Serie A. Il ventaglio delle ipotesi spaziava dalla ‘ndrangheta al mitomane, dal maschilismo al patriarcato. A prescindere dal movente è comunque un attacco ai valori fondanti dell’associazionismo, della libertà, della partecipazione: ennesima violenza culturale, psicologica, ideologica nei confronti dell’emancipazione femminile.

La cronaca kafkiana si inserisce emblematicamente nel fenomeno degenerativo delle discriminazioni di genere nel mondo dello sport. Vieppiù sorprende quando atteggiamenti sessuofobi giungono dai presunti esegeti del verbo aulico e curiale dello sport. Gli aneddoti folklorici e sessisti di sedicenti dirigenti sportivi – affetti da ruvido machismo – enfatizzano un anacronistico ostracismo e ribadiscono una radicata, patologica “apartheid di genere”.

Purtroppo nel nostro Paese i superstiti di arcaiche civiltà fallocratiche costituiscono un’enclave di basso profilo che frena i processi evolutivi delle pari opportunità nello sport. La lunga marcia per l’eguaglianza tra i sessi nel nostro Paese è stata frenata da un oscurantismo subdolo e maschilista che ha occupato le stanze del potere. E’ una lobby occulta e trasversale che domina i gangli strategici delle istituzioni e che impone nella cultura, nel sociale e conseguentemente nell’immaginario collettivo una retriva visione omocentrica.

Il dilettantismo imposto “obtorto collo” alle atlete azzurre impedisce la fruibilità della legge 91/81 che regola i rapporti con le società, la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, il trattamento pensionistico, ecc.

Recentemente è stato presentato in Parlamento un DDL che intende promuovere la parità fra i sessi anche nello sport professionistico. Finalmente una battaglia di civiltà per legittimare nello sport una paritetica democrazia partecipativa. “Il CIO ha sbagliato nell’assegnare i Giochi Olimpici 2008 a Pechino ed alla Cina – dichiarava Pietro Mennea – poichè tutto il mondo sapeva che in quel Paese sono poco tutelati i diritti umani, civili, la libertà di culto, di espressione ed i principi di giustizia e di democrazia. Si sarebbero dovute assegnare le Olimpiadi a quel Paese solo dopo che a tutti fossero stati concessi diritti e libertà”. Toni trionfali annunciano la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. E’ una ribalta planetaria per riscattare ritardi biblici sul percorso delle pari opportunità nello sport. Auspichiamo nel nostro Paese un rapido percorso evolutivo, legislativo, culturale affinchè venga chiusa definitivamente la pagina avvilente dell’apartheid di genere che non qualifica le donne nello sport come professioniste – quindi lavoratrici full time – penalizzandole in quanto “dilettanti” ed escludendole dalle tutele previdenziali e sanitarie. Occorre un salto quantico, epocale affinchè Roma non venga stigmatizzata dai media mondiali la “Pechino dei diritti negati alle donne dello sport azzurro”.

Enrico Fora – ufficiostampa@libertasnazionale.it

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